domenica 9 settembre 2012

Stati di Allucinazione(Altered States) - Ken Russell




Altered States (Stati di Allucinazione) - Ken Russell
USA  1980
102 min.



Negli anni 60 lo psicologo e neuroscienziato John Lylly divenne famoso per l'invenzione della vasca di deprivazione sensoriale, una vasca insonorizzata, riempita di una soluzione salina che permetteva il galleggiamento di una persona in poche decine di centimetri d'acqua, e che mantenesse la temperatura stabile allo stesso grado di quella corporea umana. In tal modo la persona che si sottoponeva all'esperimento, riusciva in poco tempo a perdere completamente la percezione corporea di se stesso, e a cadere in uno stato onirico in cui il cervello, non distratto da alcuno stimolo esterno, aumentava la propria capacità immaginativa, espandendo la coscienza dell'individuo fino a limiti impensabili. Visto il periodo ancora favorevole riguardo alla sperimentazione medica degli allucinogeni per fini psicoanalitici e neurologici, Lylly si spinse ad assumere psichedelici, in particolare LSD e Ketamina, prima di entrare nella vasca di deprivazione, ed in questo modo provare una esperienza mai vissuta da nessun essere umano. Durante gli esperimenti la coscienza di Lylly poteva così regredire progressivamente verso gli stadi arcaici della coscienza, intraprendendo un viaggio a ritroso verso le origini della coscienza umana, fino al periodo antropomorfo e oltre, verso le prime fasi della vita sulla terra.
La potenza degli effetti che tali esplorazioni potevano suscitare nella coscienza e nella mente dello scienziato, ormai arrivato quasi al “limite” di regressione al Big Bang, oltre alla forte dipendenza dalla ketamina, lo convinsero a desistere dalla sperimentazione per non compromettere in maniera irreparabile il suo equilibrio psichico (una tale e prolungata espansione dell'inconscio nella realtà sensibile, comporta il rischio psichico di “sommergere” l'Io e il senso di realtà di contenuti inconsci, e a non poter più riuscire a distinguere la realtà dalle rappresentazioni inconsce, con tutte le implicazioni patologiche che ne derivano), ed a occuparsi del meno pericoloso studio neurologico sui delfini.
Ma la profondità delle implicazioni delle scoperte di Lylly non possono essere sottovalutate, sono la dimostrazione della veridicità delle teorie di Carl Gustav Jung sugli archetipi collettivi e sull'esistenza di una coscienza (e conoscenza) comune a tutta l'umanità, una sorta di DNA psichico originario che è in ogni individuo, di ogni razza ed ogni tempo, e che, allo stesso tempo ogni individuo a sua volta possiede nel proprio inconscio la traccia (che si manifesta attraverso immagini e figure comuni) delle tappe dell'evoluzione psichica dell'intera razza umana.
Ma in un clima successivo agli anni 60', di rifiuto (per motivazioni di ordine sociale) degli allucinogeni, molte delle scoperte e delle osservazioni che per 20 anni(!) gli psicologi hanno accumulato nel corso della sperimentazione psicoanalitica e neurobiologica con le sostanze psichedeliche (letteralmente: che espandono la coscienza), fra i molti ricordiamo Stanislav Grof Carl A.P. Ruck e Timothy Leary(prima che diventasse uno dei tanti “guru della liberazione spirituale”), furono forzatamente accantonate e fu impedito il proseguio della sperimentazione.
In questo clima oscurantista si capisce bene come la versione italiana del titolo del film “Altered States”(stati alterati di coscienza), sia stata tramutata in “Stati di Allucinazione”, titolo che ne sminuisce la portata spirituale (utilizzare nel titolo la parola “coscienza” avrebbe avuto l'effetto, inconscio, a prima vista, di dare un minimo di serietà alla cosa) e di ricondurlo alla ben più innocua visione degli psichedelici come un qualcosa di semplicemente ludico e “anticonformisticamente” ricreativo.
D'altra parte la volutamente eccessiva spettacolarizzazione cinematografica (soprattutto la trasformazione fisica del ricercatore in ominide), operata dallo sceneggiatore Paddy Chayefsky e da Ken Russell portava a far diventare la storia(vera) come grottesca e fantascientifica.
Ma nonostante tutto il messaggio del film arriva bene a segno, così come è bene ritratta la figura del ricercatore (prometeicamente eroico) che arriva fino a compromettere la propria vita relazionale e psichica in nome della ricerca della verità assoluta, di quel Sé individuale, arcaico e trascendente che è in ognuno di noi, e che rappresenta la ontologica divinità umana, e da cui si generano tutte le altre immagini di Dio e profeti risorti, che l'umanità si è costruita per dare un nome ad un proprio sentimento inconscio, e che continua ad adorare fin dalla notte dei tempi (e il grande Jung sarebbe orgoglioso di Lylly e di Ken Russell). “Da quando abbiamo eliminato Dio, non abbiamo altro che noi stessi per capire questo orrore privo di senso che è la vita” afferma il protagonista del film, che concluderà il suo viaggio verso la “possessione di Dio” affermando infine che “l'unica verità è che non esiste verità”, prima e dopo dell'esistenza c'è solo il nulla, e che l'unica verità è la nostra labile e transitoria esistenza priva di senso, e (questo è il messaggio finale del film) solo l'amore può dare una parvenza di senso, e salvarci dalla disgregazione inevitabile della nostra materia.
Infine, è bene considerare la potenza espressiva e visiva di uno dei film meglio riusciti del genio visionario di Ken Russell, che sfrutta al meglio gli assist della trama per sprigionare tutta la sua potenza immaginifica creando immagini e allucinazioni fortemente simboliche e surrealiste, crocifissioni a catena, Golgota infernali, misticismo arcaico latino americano, tubazioni che respirano, incubi protoplasmatici e apocalissi cosmogoniche che trascinano lo spettatore in una atmosfera visionaria di rara intensità.



Feast Of Friends - Jim Morrison & Paul Ferrara

 


Feast Of Friends - Jim Morrison & Paul Ferrara
USA 1969
37 min.


 
Uno dei documentari sui Doors girato dallo stesso frontman del gruppo, Jim Morrison (ex studente di regia), e dal suo amico Paul Ferrara.
I frammenti di alcune esibizioni dal vivo del gruppo, sono intervallate da scene che lanciano uno sguardo su alcuni aspetti "dietro le quinte" della vita della band, e da altre scene che scoprono il lato artistico oltre-musicale del mitico Re Lucertola.
In una scena Morrison recita una poesia mentre scorre sullo schermo la ripresa effettuata da un volo in aereo al tramonto. In un altra Jim si lancia in una geniale improvvisazione strumentale e poetica al pianoforte, e in quel momento Dioniso, che sarà stato nascosto da qualche parte nella stanza, avrà ascoltato compiaciuto.
La penultima scena è un interpretazione dal vivo di The End, una di quelle canzoni dei Doors che sono pietre miliari nella storia della musica, uno dei brani che più di tutti, rappresenta l'anima e il genio di Morrison, che in poco più di dieci minuti tocca tutti i temi fondamentali della sua poetica, la morte, l'amore, l'inquietudine giovanile dei suoi anni (...lost in a roman, wilderness of pain, and all the children are insane, waiting for the summer rain....), l'Edipo e il West, inteso come la frontiera, ovvero l'andare alla ricerca del limite fino a raggiungere "l'altra parte". In Feast of Friends si assiste ad una intensa rivisitazione dello storico brano che chiudeva il primo omonimo album dei Doors, dando testimonianza dell'ecletticità della band e di Morrison durante le esibizioni live.



sabato 8 settembre 2012

Il Fantasma della Libertà - Luis Bunuel

 



Le fantôme de la liberté (Il fantasma della libertà) - Luis Bunuel
Francia  1974
104 min.


Cos'è il surrealismo?
Una sfida alla dittatura della ragione. Non con gli ordigni distruttivi dell' Anti-razionale, ma con la rivolta sovversiva dell'Oltre-razionale. Una rivolta che non vuole annichilire tutto e distruggere il Senso, ma pretendere il ritorno della giustizia, ovvero il ritorno all'originario e doveroso riconoscimento delle potenzialità dell'inconscio da parte della fredda e positivistica ragione.
Il surrealismo può essere definito come una fazione radicale e oltranzista (e naturalmente artistica) della psicologia. La psicologia che solo da qualche anno(le origini e l'apice del surrealismo sono a cavallo degli anni 20-30, mentre la nascita "ufficiale" della psicanalisi è all'inizio del secolo) aveva iniziato la sua rivoluzione per portare agli occhi del mondo questo "nuovo" universo chiamato inconscio, portando a galla la natura bestiale, anarchica, perversa e precaria della parte più nascosta e pura dell'animo umano, in netto contrasto con la rigidità utilitaristica e il perbenismo bigotto della società borghese.
Mentre gli psicologi sovvertivano la morale borghese in campo scientifico, i surrealisti si proponevano di usare le armi a loro più congeniali, la poesia, la pittura, la scultura e il cinema, per squarciare gli occhi allo spettatore, alla gente comune ma sopratutto alla borghesia (tradizionalmente la parte della società che fruisce maggiormente dell'arte) per aprire una breccia nella cinta muraria eretta dall'Io, e poter far così fluire all'esterno quei contenuti che da troppo tempo potevano vivere solamente nell'intimità dei sogni.
In alcuni casi il surrealismo combatteva materializzando l'inconscio sui propri supporti artistici, portando alla luce e sdoganando i propri sogni e le proprie perversioni, in altri casi la lotta alla ragione veniva condotta smascherando l'assoluta irrazionalità e mancanza di oggettività nascoste nelle più comuni e secolarizzate credenze e morali.
Luis Bunuel è senza dubbio uno dei più grandi esponenti del surrealismo, alla pari di Andrè Breton, Salvador Dalì, Renè Magritte ecc...e nella sua carriera si è dimostrato un vero maestro nell'arte della destrutturazione ed irrisione della morale borghese e cattolica.
Il Fantasma della Libertà” ne è un degno esempio, una grottesca catena di episodi slegati fra loro in cui il regista sprigiona tutta la sua graffiante ironia, capovolgendo e distorcendo i punti di vista della realtà, per rivelare l'insensatezza e l'arbitrarietà delle consuetudini e delle convinzioni derivanti dalla "semplice" costruzione umana della società, impreziosendo il tutto con un perfetto humour nero che è un marchio di fabbrica del regista spagnolo.
Generalmente questo film viene classificato fra le opere minori di Bunuel (in effetti da un punto di vista prettamente cinematografico ce ne sono di migliori), ma analizzandolo in un ottica di "lotta surrealista" questo film è da considerarsi come uno dei più graffianti, sovversivi ed ispirati del padre del cinema surrealista.


Non Toccare la Donna Bianca - Marco Ferreri




Touche pas à la femme blanche (Non toccare la donna bianca) - Marco Ferreri
Fra - Ita  1974
108 min.

I film di Marco Ferreri non sono mai solamente dei film, ma sono anche ispirate analisi sociologiche ed antropologiche. Che purtroppo a trenta anni di distanza continuano a rivelarsi terribilmente attuali, se pensiamo alla criticità della nostra epoca dal punto di vista economico-sociale.
"Non toccare la donna bianca" è una grottesca rivisitazione della battaglia del Little Big Horn, ambientata nella Parigi degli anni 70', nella periferia della metropoli in continua trasformazione, dove dominano gli interessi del capitalismo edilizio, a discapito della popolazione meno abbiente, che è costretta a sopportare le ingiustizie perpetrate in nome del "progresso" e dello "sviluppo".
Ancora attualissime sono le figure in giacca e cravatta che rappresentano il potere economico, che si serve del braccio forte dell'esercito e della polizia (da sempre servitori della patria, ovvero della proprietà privata) per difendere i propri meri interessi economici, con la servile protezione dei media e della cultura accademica organica.
Il nemico contro cui il settimo cavalleria deve abbattere tutta la sua forza e crudeltà sono gli indiani, simbolo di quella parte della società che viene emarginata nelle riserve, nelle banlieu della metropoli alienante, perché presunta causa del ristagno dell'economia.
Una massa di "bruti capaci solo di far figli", poveri, puzzolenti, sfaticati, che non riconoscono l'importanza della proprietà privata, e di quel "sano egoismo" che è il motore dello sviluppo e del progresso economico.
Ormai stanchi per aver perso troppo tempo a cercare di integrare (non sappiamo come e con quanto sforzo) questa massa di reietti, gli uomini del potere decidono di provvedere alla "soluzione finale" affidando l'incarico di attuare l'opera di selezione sociale al famoso generale Custer (interpretato da Marcello Mastroianni), classico personaggio mediatico, "salvatore della patria", in grado con la sua fama di oscurare agli occhi dell'opinione pubblica l'inequivocabile crimine perpetrato.
Ma qualche volta nella storia dell'uomo, anche i poveri, i deboli, i reietti, i proletari e anche gli indiani, possono riuscire a vincere la loro battaglia e a far trionfare la giustizia. Abbandonando le proprie differenze e facendosi forza l'un con l'altro, un popolo può sconfiggere gli oppressori. Quando il popolo smette di combattere individualmente e a mani nude contro le mitragliatrici del potere, si arma, si unisce, e combatte come un unico collettivo, può vincere, anche contro un esperto della guerra come Custer, che si domanda incredulo come gli indiani abbiano imparato (finalmente) a fare la guerra.
Il film è impreziosito da un cast di tutto rispetto, in cui spiccano Marcello Mastroianni (Custer), Catherine Denueve (patriottica amante del generale Custer), Michel Piccoli (Buffalo Bill), un ispirato Ugo Tognazzi (un meticcio esploratore e assistente di Custer) e un giovane Paolo Villaggio nella parte di un agente della CIA in incognito nella veste di professore di antropologia, che farà la parte di "agitatore” da “strategia della tensione”(ricordiamoci che siamo negli anni 70') e regista oscuro degli eventi.




mercoledì 5 settembre 2012

Stardust Memories - Woody Allen






Stardust Memories - Woody Allen
USA  1980
91 min.


Woody Allen espresse a più riprese rammarico riguardo al fatto che Stardust Memories fosse stato interpretato dal pubblico e dalla critica come un lavoro fortemente autobiografico, “dicendo” che l'arte non è la realtà, ma un interpretazione della realtà, e che quindi Sandy Bates non era l'alter ego di Woody Allen, ma solo un interpretazione, un aspetto cinematograficamente romanzato di lui, né più né meno di un Alvin Singer qualunque. Ma puntando un occhio alla biografia dell'autore contemporanea al film e a quella più prossimamente successiva, la chiave interpretativa autobiografica non può essere del tutto esclusa.
Stardust Memories è un lungo flusso di coscienza, dove si salta, quasi indistintamente, fra la realtà, i ricordi e i pensieri del protagonista, è (come spesso succede nei film di Allen) un tirare una riga e fare il punto della situazione, una sublimazione filmica dei pensieri del regista newyorkese.
L'insofferenza di Allen verso il fanatismo dei fan, il cinismo dell'industria cinematografica, che opera la sottomissione dell'arte alle esigenze degli incassi e della commerciabilità, e la manipolazione intellettuale della critica (che verrà ancora di più irrisa successivamente in Zelig, dai marxisti, ai freudiani, alla critica intellettuale francese che nell'uomo camaleonte “vedeva il simbolo......di ogni cosa”), si sprigiona in Stardust Memories con una graffiante ironia dissacratoria.
Allen in particolare dimostra di non accettare la definizione attribuitagli di autore solamente comico, e prosegue così la sua sperimentazione, iniziata con Interiors, verso un cinema più profondo e maggiormente intriso di interrogativi esistenziali. Come molti personaggi alleniani, Sandy Bates è un uomo alla ricerca del senso della sua vita, che riflette sul senso dell'arte e sul senso del fare cinema, di questa occupazione effimera e impotente di fronte all'immensa sofferenza umana. Ma il suo tentativo di dare una svolta più profonda e umanitariamente utile (soprattutto per placare la sua sete di un Senso del tutto) al suo lavoro si scontra con la logica del “troppa realtà non piace al pubblico” tanto cara all'industria cinematografica. Tutta questa tensione esistenziale, unita alle incertezze e alle sofferenze dovute alle relazioni sentimentali presenti e passate, porterà Sandy Bates all'esaurimento nervoso, che scoppierà durante un'inaspettata visita ad un surreale “happening” di appassionati di ufologia, esplicandosi in una sequenza di scene in flusso di coscienza, certamente fra le più visionarie dell'intera filmografia alleniana.
Ma, alla fine del delirio isterico, Sandy Bates, una parvenza di Senso sembrerebbe averla trovata, ed è quella che si manifesta con un bellissimo primo piano all'ex fidanzata Dorry (forse un riferimento a Diane Keaton?), che rimane uno dei più belli omaggi all'amore della storia del cinema.
All'epoca il film fu oggetto di molte critiche negative, ed ebbe poco successo al botteghino. Fu criticato aspramente per la forte ispirazione (da alcuni considerata vicino al plagio) tratta da 8e1/2 di Federico Fellini, ispirazione comunque mai negata ed anzi spudoratamente affermata, con tanto di occhiolino ammiccante,nel film, confessando di aver “fregato l'idea in blocco”. Ma, anche se la palese ispirazione non pregiudica in alcun modo la validità del film, può essere opportuno ricordare le parole di un grande maestro (o furbastro, secondo le opinioni e i gusti) della citazione cinematografica, Quentin Tarantino, che, in risposta ad accuse di plagio, citò Igor Stravinskij: "I grandi artisti non copiano, rubano”

Il Settimo Sigillo - Ingmar Bergman

 



Det sjunde inseglet (Il Settimo Sigillo) - Ingmar Bergman
Svezia  1957
96 min.


Il Settimo Sigillo è il film che farà conoscere Ingmar Bergman al grande pubblico, inaugurando una serie cinematografica ricca di capolavori come Il posto delle fragole e Come in uno specchio, solo per citarne alcuni, che lo consacreranno definitivamente nell'olimpo del cinema. Con il Settimo Sigillo Bergman inizia anche a trattare il tema della fede, e soprattutto del relativo silenzio di dio, che spesso ricorrerà in molte sue opere successive.
Il settimo sigillo è famoso da sempre, per il leitmotiv della partita a scacchi con la morte.
Partita a scacchi con la morte che è metafora della vita stessa di ogni individuo, che tenta di dare un senso alla propria persistenza nel mondo tangibile, e di resistere il più possibile, in una disperata difesa, contro il nemico invincibile, cercando in vano un mezzo per aggirarla.
Il cavaliere, il protagonista della vicenda, è fondamentalmente l'alter ego di Ingmar Bergman, di quel Ingmar Bergman che si spoglia progressivamente dei residui dell'etica protestante trasmessagli dal padre, in un distaccarsi da dio, che comunque non riesce a cancellare l'insaziabile sete di un qualcosa che vada oltre, e che dia un senso, all'esistenza umana.
Il cavaliere/Bergman è tormentato dall'esigenza di una giustificazione, di un senso della vita, che non può essere solamente un vuoto senza fine e senza speranza, altrimenti "Nessuno può vivere sapendo di dover morire un giorno come cadendo in un nulla senza speranza". Ma la fede cieca e rassegnata non può bastare al guerriero di mille battaglie, si deve avere la certezza, Dio deve scoprire il suo volto e tendere la mano all'eroe bergmaniano, ma ahimè Egli non lo fa. Dinanzi all'impossibilità di cogliere Dio con i sensi, e non poter più avere la voce rassicurante della fede che sgorga da dentro di noi, non resta che il vuoto, il terrificante ignoto che atterrisce, e il silenzio. Chiede la Morte al cavaliere:
 <E il Suo silenzio non ti parla?>
Ma la risposta è che l'uomo guerriero dell'esistenza non può rassegnarsi, prova ad uccidere Dio in se stesso, ma Egli vive ugualmente dentro di lui, è la necessità del Senso, un richiamo inestinguibile che terrorizza l'essere che non riesce a vivere di sola immanenza (al contrario del fido scudiero Jons, ateo e materialista), l'essere che ha paura del nulla che è dopo la materia, e che alla fine può solo "intagliare alla propria paura un immagine, a cui dare poi il nome di Dio".
Solo chi ha fede può credere di colmare il vuoto e sconfiggere la morte. Come spera la gente comune, che invoca il perdono di Dio flagellandosi. Ma la morte prima o poi "danza con tutti", e dopo vi è il nulla, è questa l'orrenda verità che rivelano coloro che hanno una sensibilità, una "vista", superiore. Come il pittore della chiesa del paese, che vuole far vedere a tutti come stanno le cose, aprire gli occhi alla gente, farli pensare, pur consapevole, che il pensiero può solo impaurire, e chi non ha una conoscenza superiore, quando è impaurito può solo optare per il cilicio.
Ma saranno proprio degli artisti, il mistico attore Jof, sua moglie e il suo piccolo figlio, a ridare un po di senso al cavaliere Antonius, che, rinvigorito di nuova speranza, lascerà vincere il suo avversario, sacrificandosi per la salvezza dei suoi amici, con un atto d'amore senza ritorno, che è il sentimento più divino che ci possa essere in tutta l'esistenza umana, l'amore che dona e tramanda la vita, e può così, sconfiggere la morte.





The Wicker Man - Robin Hardy





The Wicker Man - Robin Hardy
UK 1973
88 min.

Siamo disposti a morire, e ad uccidere, in nome delle nostre illusioni?
Se pensiamo alla storia dell'uomo questa domanda non può che cadere nella retorica e nella banalità assoluta. Ma, visto che l'uomo non sembra aver dato ancora una risposta conclusiva, The Wicker Man di Robert Hardy può darci ancora un ennesimo spunto di riflessione.
Il sergente Howie arriva sull'isola di Summerisle, nella Scozia orientale, dopo un informazione anonima, per investigare sulla scomparsa di una bambina, ma da subito riscontra una certa ostilità nella popolazione, che sembra immersa in un atmosfera da tempi lontani, presa a celebrare riti pagani, di forte influenza naturalistica, con una sessualità senza inibizioni tipica delle società pre-cristiane. Appare subito forte il contrasto tra la sensuale, caotica e anarchica ritualità dei culti pagani di adorazione del sole e della fertilità, e la rigida figura del poliziotto, simbolo dell'ordine costituito, della civiltà moderna, figura resa ancor più castigata dalla ferma moralità puritana del sergente.
Tale contrapposizione si realizza esplicitamente nella scena dell'acceso dialogo tra il sergente e Lord SummerIsle,"Signore" e guida spirituale dell'isola, che rassicura il sergente (convinto ormai che la bambina "dispersa" sia stata uccisa, forse come sacrificio umano in un rito pagano) riguardo alla pacificità e alla religiosità degli abitanti, causando l'incredula reazione del sergente incapace di comprendere la presunta religiosità dell'attiguo spettacolo offerto da delle donne che danzano nude intorno al fuoco, celebrando un rito propiziatorio del dio fuoco.
<Perché quelle donne saltano sul fuoco nude?>
< è pericoloso saltare sul fuoco da vestiti>
<e quale lezione divina potrebbero apprendere danzando nude in questo modo?> <Partenogenesi, nascita senza unione sessuale>, provocando così la reazione sconcertata del sergente, che si appella alla falsità biologica e religiosa di tutto questo, chiamando in causa gli insegnamenti dell'unico dio, di Gesù Cristo. Ma lord Summerisle lo spiazzerà ancora una volta: <Jesus? figlio di una vergine messa incinta da uno spirito?>, mettendo in ballo tutta l'irrazionalità dei dogmi e delle credenze religiose.
Tutto il film è uno scontro feroce fra irrazionalità istituzionalizzate e dogmatizzate (definizione valida per ogni religione) che si concluderà con l'inevitabile, tragica e barbara sconfitta di uno dei dogmi.
Il film è ricco di simbologie pagane ed esoteriche che affondano nelle radici della cultura europea, in particolaree celtica, come i cerchi di pietre sacri, gli alberi della fertilità, divinità del sole, sacerdoti androgini, occhi omniscenti e stelle di David, creando un atmosfera di forte impatto, anche erotico, con frequenti scene di nudità femminile che all'epoca costarono la censura, e che tutt'oggi rendono più complicato il "ritrovamento" della versione integrale.


martedì 4 settembre 2012

Il Rito - Ingmar Bergman




Riten (Il Rito) - Ingmar Bergman
Svezia 1969
72 min

Prodotto per la televisione nel 1969, Il Rito fa parte di quel filone bergmaniano, che conta fra gli altri titoli come Persona, L'ora del Lupo e L'immagine allo specchio, che abbandona gli interrogativi senza interlocutore sul silenzio di Dio e sulla necessità di un qualcosa che sia oltre all'umana immanenza e sofferenza, e inizia ad occuparsi della follia e delle perversioni dell'animo umano.
Un trio comico in tournée in un paese straniero viene accusato di oscenità dalla censura. Attraverso gli interrogatori con il giudice e le conversazioni intime fra gli attori, Bergman crea quattro figure psicologiche ricchissime, quattro anime complesse,instabili, deboli e negative, e le umilia costringendole (questa è una tipicità, e una grandezza dei film di Bergman) passo dopo passo a mettersi a nudo, a confessare i propri peccati e le proprie finitezze di fronte all'unico e implacabile vero giudicante, la vita.
Dalla donna epilettica, isterica e infantile, al giovane attore forte e spavaldo, ma eccessivamente dissoluto e turbato da insanabili inquietudini, all'attore navigato e saggio che non riesce però a tenere in piedi il rapporto con la moglie e accetta così il ruolo di "protettore" del “menage” fra la moglie e il suo collega, decidendo di vivere per gli altri non riuscendo a vivere di se stesso. E infine il giudice, uomo meschino e represso, che fa del cinismo e della crudeltà, a suo dire intrinsechi al proprio mestiere, l'unico mezzo per sostenere il suo altrimenti debole essere, provando un sadico piacere nell'inquisire prima di tutto la moralità degli attori stessi che non il numero teatrale sotto inchiesta.
Ma alla resa dei conti sarà proprio il giudice ad essere sconfitto, perché in una battaglia fra deboli e disarmati vincerà sempre chi possiede almeno l'arma dello Spirito e della poesia.

Ombre e Nebbia - Woody Allen


"Shadows and Fog" (Ombre e Nebbia) - Woody Allen
USA 1991
86 min.

Sam Kleinman è un individuo debole, incapace a vivere, maltrattato dal datore di lavoro e dalla padrona di casa. Nel pieno della notte viene svegliato da un gruppo di compaesani che lo costringono a prendere parte ad un fantomatico “piano” per catturare un serial killer strangolatore che terrorizza la città, poco importa che nessuno si prenda la briga di spiegare a Kleinman in cosa consista questo “piano”. Il film è un omaggio alle atmosfere surreali de “Il Castello” di Kafka, e lo stesso Kleinman, alter ego del letterario K, è un individuo schiacciato da una realtà assurda, trattato con sospetto e ostilità dagli abitanti del paese, senza che riesca nemmeno a capire quale sia la sua colpa.
La nebbia che avvolge i vicoli tetri del paese, fa da cornice alle peripezie e agli incontri surreali di Klienman; da un dottore che si illude di poter scoprire le cause biologiche della malvagità vivisezionando il cervello dell'assassino, ad un interessante conversazione in un bordello, sull'illusorietà della vita e sull'esigenza umana di avere una qualche forma (anche illusoria) di divinità, tra alcune prostitute ed un giovane, depresso, studente universitario,
La nebbia che avvolge i vicoli del paese è il simbolo dell'isteria collettiva degli abitanti per un pericolo che non si riesce a vedere, che non si riesce a capire, e che li porta a prendere come capo espiatorio il debole di turno, il mite Kleinman, che, accerchiato dalla folla mentre conversa con una mangiatrice di spade (Mia Farrow) del circo stabilitosi in paese, viene accusato degli omicidi.
Klienman si allontana dal paese e si nasconde nel circo, dove ha uno sgradito incontro con lo strangolatore che cercherà anch'egli di ucciderlo, riuscirà a salvarsi solo con l'aiuto del maestro illusionista del circo, che dopo aver appreso della passione di Klienman per la magia gli offrirà di unirsi alla carovana itinerante e di fargli da assistente.
Dopo un momento di titubanza, Klienman deciderà di abbandonare l'assurdità e l'illusoria stabilità della sua vita impiegatizia, per seguire i sogni e la poesia consolatoria dell'illusione magica.

tutti amano le proprie illusioni, ne hanno bisogno, come l'aria che respirano”

A Saucerful Of Secrets - Pink Floyd (UK68')




 
“Turn On, Tune In, Drop Out” è il mantra ripetuto passo dopo passo sul cammino verso lo stato superiore di coscienza indicato dallo psicologo profeta dell'acido Timothy Leary, un personaggio fondamentale del variegato movimento culturale, morale, politico e musicale dei giovani degli anni 60', e non vi è dubbio che la diffusione degli psichedelici, non solo a fini ludici ma sopratutto(almeno in quegli anni,sigh!) come mezzo di ricerca spirituale, debbano essere considerati un tassello importante per analizzare lo spirito di quegli anni, e di riflesso anche le arti, in particolare la musica, che quegli anni hanno prodotto.
Siamo nell'estate del 1968, “C'era una volta il West” e “2001.Odissea nella spazio” sono nelle sale, Martin Luther King è già stato assassinato, la Primavera di Praga si avvia verso la sua triste conclusione, e il movimento operaio/studentesco del “Sessantotto” è nel pieno della sua forza; la parabola della musica psichedelica, non da meno, è nel suo apice. L'onda acida di St.Pepper's Lonely Hearts Club Band dei Beatles, Disraeli Gears dei Cream, Surrealistic Pillow dei Jefferson Airplaine, Strange Days dei Doors e dei Jimi Hendrix Experience(solo per citarne alcuni, ma si potrebbero riempire pagine intere),e perché no, di The Piper At The Gates of Dawn non si accenna ad arrestare. In gennaio, mentre in sordina viene pubblicato White Light/White Heat dei Velvet Underground, gli Steppenwolf inondano l'etere con la canzone-manifesto Born To Be Wild, il panorama del rock non è mai stato così fecondo. Quasi contemporaneo a Waiting For The Sun dei Doors, fra giugno e luglio di quell'annata irripetibile, i Pink Floyd pubblicano A Saucerful Of Secrets, l'album dei ragazzi del fluido rosa che probabilmente sia dal punto di vista musicale, che da quello delle vicende umane della band, è più di tutti degno figlio del cataclisma di quegli anni.
La stabilità mentale dell'ormai ex leader Syd Barret è irrimediabilmente compromessa, probabilmente a causa dell'uso eccessivo di LSD, e non gli permette più di continuare il suo cammino con la band, che decide a malincuore di sostituirlo con David Gilmour.
Il nuovo album, in cui Roger Waters assume definitivamente la leadership del gruppo, può essere considerato un disco di transizione fra la psichedelia surreale e “giocosa” degli esordi e il più pulito rock progressivo che i Floyd interpreteranno magistralmente da Ummagumma in poi, un disco di sperimentazione sia dal punto di vista prettamente tecnico musicale sia per quanto riguarda la ricerca del sound definitivo della band, un album di forte intensità onirica e cosmica, che lo fa entrare di diritto tra le perle della psichedelia di ogni tempo.
Il disco si apre con la danza sincopata guidata dalle tastiere di Wright e dalla voce di Gilmour che invita l'ascoltatore a guardare “lontano” e a seguire le vie del profondo, fino alla più classica delle accelerazioni psichedeliche in una allucinazione cosmogonica che si conclude con la luminosa atmosfera in crescendo dipinta dall'assolo di chitarra Gilmour “...... And glowing slightly from his toes his psychic emanations flowed”, Let There Be More Light, lascia che ci sia più luce, Turn On baby! Il viaggio è iniziato.
Remember a Day è un dolce rimembrare un tempo che fu, un immagine giovanile che viene dall'inconscio, e che non vuole arrendersi all'inevitabile scorrere della vita, “Why can't we reach the sun? Why can't we blow the years away?”.
Il viaggio ci porta in un atmosfera sensuale, notturna, accompagnati da una dolce ballata, dalle sonorità liquide, immersi nella poesia meditativa di Set The Controls For The Heart Of The Sun, dove Waters riflette sulle montagne e sugli abissi dell'uomo, perchè “La conoscenza dell'amore è la conoscenza dell'ombra, e l'amore è l'ombra che stagiona il vino”, e solo il sole e l'amore, possono ricordarci “la lezione del dare”.
Di colpo il nostro sensuale torpore viene interrotto da suoni striduli e voci strozzate che provengono da un buffa parata guidata da un irriverente kazoo, Corporal Clegg, che ricorda un po' il surrealismo ubriaco di Bike (traccia conclusiva dell'album precedente), è una divertente deviazione di bandismo che conclude in una caotica implosione sonora. Bene, ora che questa buffa banda di pazzi esploratori della mente si è riunita, possiamo finalmente raggiungere quello che in termini di psichedelia applicata viene definito “plateau”.
La title-track di questo album è forse il migliore e il più audace esempio del concetto di musica psichedelica, una musica che serva come mezzo, come guida, come flauto dionisiaco durante l'esperienza di uno stato alterato di coscienza. Subito veniamo accerchiati da suoni alieni e inquietanti, siamo disorientati da rumori e fitte sonore che arrivano da ogni dove, l'ebrezza e la paura salgono sempre di più, senza limite, ne usciremo vivi? Arrivati all'apice, al plateau, ci ritroviamo nell'inconscio, in quella parte arcaica che è dentro di noi, primitiva e tribale, che millenni di evoluzione non sono riusciti a cancellare, qui entriamo in contatto con l'essere oltre-razionale che ci genera, immersi in un ballo dionisiaco al ritmo delle percussioni, il primo strumento musicale, simile al suono del cuore. A Saucerful Of Secrets, una “ciotola di segreti”, è quella che riportiamo con noi dalla discesa/salita nel mondo infero, riemergiamo rapidamente dalle profondità, e quando ritorniamo a mirar le stelle, nella vita c'è più luce, più armonia, arricchiti come siamo dai tesori di auto-consapevolezza ritrovati nell'abisso; e si sprigiona un coro celestiale e liturgico.
Una volta raggiunti tali apici, si può solo scendere, e l'infantile quadretto di fratellanza di See Saw non può sfuggire al suo destino segnato.
Ma la traccia che chiude l'album, Jugband Blues, oltre che l'ultimo(eccellente) brano di Syd Barret con i Pink Floyd, può considerarsi la giusta conclusione di questa audace opera rock, Syd abbandona il gruppo con una canzone che appare come la constatazione evidente della sua assenza(spirituale prima che materiale) “It's awfully considerate of you to think of me here, And I'm most obliged to you for making it clear that I'm not here........” “And I don't care if I'm nervous with you, I'll do my loving in the Winter.........”, esempio stringente del rovescio della medaglia di un epoca indimenticabile, rappresentazione di cosa succede quando ci si spinge troppo oltre se stessi, quando si vuole scrutare troppo dentro l'abisso e (parafrasando Nietzsche) di conseguenza anche l'abisso finisce per scrutare dentro di te, dichiarando la fine, riprendendo una definizione di un certo Raoul Duke, di uno dei tanti profughi della stagione dell'amore.




Tracks:

1 Let There Be More Light

2 Remember a Day

3 Set The Control for the Heart of the Sun

4 Corporal Clegg

5 A Saucerful of Secrets

5 See Saw

7 Jugband Blues